il rosmarino

Ho preso due piante di rosmarino
all’emmedi, reparto cibo, le piante
aromatiche nei supermercati
fanno una brutta fine. Le insalate
arrivano già decapitate.
Il rosmarino, lo affiancano alla carne,
sono piante
da macello, da tritare, polverizzare.
Forse loro lo sanno e accettano
il compromesso di esistire per diventare
‘droghe” o bouquet per brutte spose.
(Non esiste sposa bella, non ne ricordo una,
promettere un amore per sempre,
è come scendere al compromesso del
rosmarino, scegliere un vaso solo
e farsi tagliare fino alla fine)
Invece le piante che non hanno gusti
o colori, le piante brutte, sono libere
di non essere colte, crescono
come crescevano nel medioevo,
fioriscono anche sotto le panchine,
fioriscono per i moscerini.
Invece i rosmarini fanno le radici
anche in un bicchiere d’acqua,
abituati ad essere spezzati,
non fanno resistenza alla mano
del macellaio, tac, finiscono con il lauro,
il basilico, l’origano.
Finiscono per essere solo dei nomi
che indicano una spezia,
come fossero tutte la stessa cosa.
Certo un prato è solo un prato,
ma è fatto da milioni di fili d’erba,
un pò come il guardare di un dio
la terra, e non sentire nemmeno
una voce, dallo spazio un asteroide
potrebbe fare fuori ogni cosa,
senza fare nessun rumore,
il dolore visto dall’esterno,
non è nulla.

cielo grigio

Il grigio del cielo è un costato putrido
dilatato, pelle d’acqua
senza più corpo, che si sfalda
ad acqua da bere, ci nutre
il corpo del cielo, non sembra vero,
se ora guardo le nuvole saranno nei corpi
di ogni creatura, passeranno nei corpi
a farsi in ogni organo e foglia,
e torneranno in alto.
Come una ghigliottina che continua
a far nascere teste e a mozzarle,
del tutto neutra l’acqua, si lega
con quasi ogni cosa, diventa
anche lacrima, ma solo per gioco,
lei rinasce anche dal fuoco.

esserci

Tutto mangia tutto,
la vita mangia la vita,
cambia solo che alcuni
sono mangiati da molti
e altri quasi da nessuno.
Se la vita ti dà in regalo l’erba,
darà la tua carne in regalo a qualcuno.
A queste regole animali,
a volte mi estraneo,
come se già non esistessi,
con la felicità di non esistere
e allo stesso tempo esserci.

il ciliegio

Nella loro totale innocenza
in silenzio crescono le piante
nel retro delle fabbriche.
il ciliegio ornamentale è fiorito
per anni, per nulla, per finestre
che mai si affacciano, che sembrano
mai abitate. Dove le ore lavorative
fuggono negli anni e tolgono
ogni forza agli operai.
Anche loro nella totale innocenza,
sono fioriti mentre lavoravano,
in bilico sulle scale, sui tetti,
dentro le fognature, sono fioriti
mentre la natura fioriva,
ma separati da muri, da cancelli,
poche volte è entrato il profumo.
Io mi sento come questi tronchi,
che fanno fatica a portare linfa
sulle foglie, queste piante che un tempo
partivano con slancio e sarebbero
cresciute fino al sole, se non fossero
state costrette a sradicarsi.
Nessuno ricorderà i nostri fiori,
perfino la pioggia si ostina a cancellare
ogni traccia.

panchina

Oggi ci siamo seduti sulla panchina
e ho messo una mano
sulla tua. Non lo faccio spesso,
anzi quasi mai. La tua mano
che vorrei vedere giovane.
Quello del caf mi ha spaventato,
loro parlano delle persone come cose,
come fanno anche i medici,
loro hanno la sensibilità di una carta
da parati. Ma io mi scollo al pensiero,
che il tuo pensiero non sia più al mondo.
Assomigli così tanto ad Alda Merini,
anche se hai la quinta elementare,
anche se non sai cosa è la poesia,
tu per me ne hai più di lei,
perché mai l’hai mostrata,
nulla in te è vanto.
Tu sei la linea di unione tra le rondini,
il senso di questo percorso che andrà
per tutte e due a finire.
Sento questo freddo che preme
da tutte le pareti, noi ancora insieme
in una stanza con i termosifoni accessi,
la vita ci ha tolto quasi tutte le forze,
ti aiuto a fare lo scalino,
faccio ancora il cretino,
inganniamo come possiamo
il tempo.

il tempo non ci ama

Sono arrabbiato con il tempo,
con il freddo che ammazza le rondini,
che stermina gli insetti,
le nuvole non sono nostre alleate,
ci tengono in scacco, ma si vede
che al sole, alla pioggia, alle intemperie,
non gliene frega nulla di noi,
neanche a dio (se ci fosse).
Quelli che dicono di amare la vita,
e poi detestano gli insetti, e poi
vogliono tutto pulito, cosa amano
esattamente?
Chi ti ama ti protegge dalla vita,
o cerca di farlo, ti da calore,
compagnia, cibo, riparo.
Il gelo non ferma la sua mano
con nessuno, nemmeno le onde,
nulla di quel che non muore
ci ama davvero.
Invece tutto quel che lotta
per sopravvivere può provare pietà.

la spazzatura

Sovente torno a trovare l’abete
che cresce dietro i cassonetti
della spazzatura. I nuovi aghi sono verdi
e morbidi. La spazzatura straborda,
ricade plastica e calcinacci, vernici
sopra la terra pulita. Dove è la poesia
tra queste scorie? Eppure le cose
che non hanno più un nome, spezzate
rotte, disintegrate, abbandonate,
sono i fiori del consumismo.
E nel loro ultimo esistere,
si riavvicinano ai fiori, al bosco,
anche quel che inquina è natura.
Quel che avvelena gli uomini
non avvelena gli alberi,
loro rendono sacro il cerchio
formato dalla loro esistenza.

Ho sempre fuggito

Ho sempre fuggito quel mi faceva
essere qualcosa al mondo,
per paura di esistere, mi sono
sempre defilato, dagli studi, dal mio nome,
dal mio aspetto. Parlavo dentro di me,
e quelle erano voci che avevano
gli ossari e le piante.
Ma io fuggivo e fuggo a me stesso,
al corpo che mi irride, e che mi da un tempo.
Per quale ragione la luce
è diventata così pesante e dolorosa?
Quanto riposo ci vuole davvero
per ritornare puro. Aprire gli occhi
come fanno i papaveri,
così leggeri da non accorgersi,
essere la vita serena
nel succo dell’oppio

I piedi di Saffo

Alcune Poesie tratte dalla nuova raccolta intitolata i piedi di Saffo. Pubblicata da RPlibri

Sai di sambuco

Ho baciato i peli sulle tue gambe

il biancore del fi ume sulla tua pelle

scorre il

tuo presente più fedele.

Il nostro è uno strano rapporto,

mi parli dei tuoi amori femminili

posso respirarti fi no alle ginocchia.

Non provi nulla eppure profumi

di cose che non ricordo.

Quando sei uscita mi è venuto in mente:

ti ho mandato la foto, sai di sambuco.

Continuavi a leggere

Ti ho sfi lato le scarpe

mentre continuavi a leggere.

Hai detto: «Puoi fare quel che vuoi».

L’odore di quel che amo mi calma:

la sua origine ha camminato nelle acque.

Non so perché mi affi ori

così familiare.

Ti annuserei per il tempo delle piramidi,

nella spirale perpetua dei tuoi profumi

mi arrivi nel sangue e io assumo

la tua delicatezza. Mi vengono spontanei

i tuoi movimenti, faccio dei tuoi mignoli

le sponde di una

misura perfetta.

La sillaba che manca

Tu prendi una mia paura senza saperlo.

In questa Torino aperta dal caldo

hai voluto conoscermi prima.

Ci vedremo a casa mia,

hai lo sguardo d’intenzioni mentre

bevi,

mi darai versi da scrivere,

versi formati da sei piedi

in una metrica di esapodi

troverò in te la sillaba che manca.