un’altra ondata notturna,
in questo migrare di nero
intere giornate nulle, mesi anni
risucchiati dal nero i più bei giorni
migrano, dentro, fuori
tutto deve migrare
ogni ricordo è un’ombra
in attesa di un accordo
appollaiati nel sangue
nello stomaco, paesi di ricordi
migrano milioni di abbracci
di attese e sorrisi rosei contorni
diventano persone,
fanno accampamenti, in attesa di uscire
premono dentro,
il tuo amore, è la loro prigione.
Di questo è fatta la notte, di persone che migrano
e ti attraversano, riconoscendo nella tua felicità
un posto da sostare e poi ripartire
verso un’altra malinconia sconosciuta.
Month: settembre 2015
Dov’è finita la poesia?
«Papà guarda! Un professore mi ha regalato una scatola piena di parole rare, ha detto che con queste parole ci puoi scrivere poesie e vincere soldi, prendi le parole rare a occhi chiusi e le metti vicine a quelle che ti vengono in mente, più non si capiscono e più hanno un senso».
«Che educazione è questa? Illudere così un ragazzino; le poesie non ti danno da mangiare, era meglio una gallina, poesia niente uova. Fammi vedere». Il padre prese alcune parole dalla scatola. «Ampolloso, aulico, surrenale o surreale? Dante, non ti servono parole che non si usano mai».
«Mi ha dato anche il libretto delle istruzioni». Il piccolo Dante prese il manuale dalla cartella e lo diede a suo padre.
«Montale poesie, che ignoranti hanno scritto monta le poesie tutto attaccato, e hanno laurea, io non ho laurea, alla tua età strappavo denti d’oro dalla bocca di persone senza fare male, ora denti in titanio, mani buone per rame, ma questo è rubare da ignoranti, pericoloso, la scuola serve per imparare a rubare lo stipendio come gli statali, i politici, rubare senza fatica».
Dante passò tutta la notte a comporre una poesia, la spedì a un concorso, lo chiamarono al telefono: “Complimenti la sua poesia è stata selezionata per l’importante antologia di poeti contemporanei curata da Ennio Pecoroni! Spedisca mille euro buoni, li ha? ” Dante ci pensò. “Si!”
Spedì un dente d’oro preso dalla raccolta di suo padre, ma non ricevette risposta. Così cercò la sua poesia nei libri di poesie di tutti i generi, si acculturò suo malgrado, arrivando a laurearsi con una tesi intitolata: -Dov’è finita la poesia?- E dopo cominciò a cercarla nelle grondaie.
Pari
Non essere dispari agli appuntamenti
al disorientamento dei lampioni
alla vocazione di una costellazione serena
di gesti al compiuto,
mangiare un trancio, buttare la carta
le tue spalle compaiono come scogli
e la folla del sabato è una sciame per le vie
sei pari quando sorridi
mi fai ricredere ai corpi sottili,
il tuo cuore è una ghirlanda negli abissi
e salendo, affiora come i bucaneve
come un dente nuovo,
nel modo più dolce di morsicare il male.
Sono dispari alla coerenza,
per quanto te ne possa importare
è bello essere pari nei giorni di pioggia
quando le foglie marciscono
e profumano come se spuntassero
nella tua bocca
sono pari ai tuoi desideri,
alle tue boccate casalinghe, ai tuoi sorsi di birra
alla puzza che si trasforma
nella tua forma, mi apparecchi con gli occhi
abbiamo una casa quando siamo pari
il cielo è un cuscino bianco
le nostre due braccia, le nostre dieci dita
sono pari se proteggiamo qualcuno
al disastro che incombe,
siamo così pari che siamo dispari.
E’ scritto nelle stalle
E’ scritto nelle stalle
che dobbiamo incontrarci.
Almeno nelle stalle di quando ero bambino,
quelle a conduzione famigliare.
Nelle stalle dei miei zii,
quando ancora non sapevo leggere,
le mosche disegnavano il tuo nome sul muro,
le vacche cagavano amore,
mangiavano il fieno delle notti stellate
e sul fieno c’era scritto il nostro nome
era un trovarci a chilometri zero.
Eri dentro le uova, nelle pannocchie di latte.
Ora il nostro amore è cambiato,
prima ancora di incontrarci, si è evoluto
è una cooperativa, ti cerco nei banchi della coldiretti
leggo il tuo nome nei fagioli borlotti, nelle patate viola,
nella buccia della frutta biologica
anche il seitan mi ha parlato di te,
le campane tibetane, le buste biodegradabili.
Medito molto per convincermene,
dovevo cercarti in altri posti.
Uscirai fuori, come una collina morenica
al ritirarsi dei ghiacciai,
e i tetti prenderanno il volo come uccelli stupidi
farai appiattire la città
la tua casa sarà una buca di fieno profonda
con l’odore degli animaletti
e gli occhietti aperti a uno spavento lontano.
la letteratura è una conseguenza
La poesia ha a che fare con la fisica
non con la letteratura,
la letteratura è una conseguenza, non il fine
cosa serve svelare qualcosa di già svelato?
C’è una poesia che continua
a tirare fuori le cose morte
un’altra che le fa parlare,
perché se non si fanno fare
cose impossibili alla poesia
a chi le fai fare?
La poesia è matematica
che si può prendere il lusso
di non avere regole
pur essendo matematica
nella sua pura essenza
giocosa di creare
quello che è già creato
ma ancora nascosto.
Un poeta è uno scienziato,
senza scienza, un veggente,
un genio idiota
che gioca a fare l’idiota.
Mentre ti disperi
Mentre ti disperi
in migliaia di case ascoltano Mozart
e hanno vasetti di ceramica con ortensie fresche
su mensoline, sono calmi
si sfilano parigine, si segano
ridono per cartoni animati stupidi
crescono come foreste
si schiacciano i brufoli
si fanno le maschere,
cagano, pisciano e muoiono
vanno in bicicletta
si danno il centesimo bacio
mordono, salivano, digeriscono
saltano l’annuncio su youtube.
Fanno milioni di cose diverse
mentre ti disperi
non ne vale la pena.
come sono piccoli i petali
Eri così bella che non avevo nulla da dire
in quel punto in cui gli alberi hanno voglia di fiorire
la tua pelle era più forte di ogni fiume
delicata come un cancello caduto sull’erba.
Qualcuno ha chiuso la porta per un po’,
come sono piccoli i petali
mentre ammazzano il pranzo nei mattatoi
le unghie non dovevano chiamarsi unghie
è un nome troppo brutto,
non dovrebbe chiamarsi cranio
la tua testa, non anatomia
la nostra gioia un caffè che viene su
preferisci quello senza caffeina?
A livello di atomi non sei andata via
e appari come il suono di un sax
come il friggere di rullante
in questa pelle nera tesa come un tamburo
il cielo profondo pieno di respiro
schizzo.a.gruccia.
Mi spiace non innamorarmi sovente
Mi spiace non innamorarmi sovente
così da uscire dagli umani;
ti leggo come leggono i cani
quando la notte diventa un bootleg
e diventano amatoriali anche le raccolte…
dei poeti papabili alla storia.
Carta da culo, nello squallore
di non essere umano quando ti amo.
Di stringere i coglioni, all’ assurdo che è nei cieli
non dimenticare quanto è bella questa terra
inginocchiata sotto il tuo corpo.
Non voglio più essere una fetta di salame
tra il cielo e la terra
mettere la grammatica prima di un punto
e stare dalla parte dei numeri che creano e abbaiano.
Il mare non si ferma sulle spiagge
Il mare non si ferma sulle spiagge
quella cosa che non distingue i corpi
che li ingoia come pioggia
con la stessa beatitudine del farli sorridere.
Siamo come lui, la sensibilità sconfinata
che si tramanda a ondate e poi sparisce
in un peso che è sproloquio
nella sua leggerezza.
Fatti prendere a bracciate,
fatti nuotare in ogni angolo
c’è il buio che ci spinge
non dovremo mai più mentire
dopo quello che è successo
non siamo mai stati quelli di prima
dal primo vagito di quel dio incompiuto
sei ancora la prima cosa che conosco
quando ti abbraccio di schiena.
Il palazzo devitalizzato
I palazzi non c’è nessun insetto che se li mangia, sono immobili fino a quando crollano, un po’ come Franca, è così immobile, dove la metti sta. Però oggi a dire il vero, ho visto un gruppetto di persone, intente a mangiarsi l’angolo della palazzina di via Corradino, dove c’è la banca, pezzi di mattone e intonaco. Avevo fame anch’io e allora ho provato a mordere un mattone. «Fatti più in là, fino a dove arriva la mia mano è mio ok?» Mi sono messo a debita distanza e ho appoggiato i denti al muro, un male cane, mentre loro erano già arrivati alla polpa, e all’ossatura del palazzo. Volevo anch’io arrivare all’osso e ho cominciato a dare giù di denti come un picchio, un fumo di polvere e sangue, e finalmente la parte morbida, ho affondato quello che rimaneva dei denti e ho tirato fuori un pezzo di muscolo di palazzo. «Diamoci dentro ragazzi! O ci toglieranno anche questo!» ha urlato il capo. Un gruppo di anziani mi stava guardando con la fame negli occhi, «sa di pollo», ho detto, e ho lasciato la parte commestibile a loro, spostandomi a picchiettare un pezzo nuovo del palazzo. «Arriveremo alla banca, sarà scoperta come un nervo, e mangeremo anche quello! avete fame ragazzi?» Disse qualcuno.
Rispondemmo di si, in un coro sempre più ampio, quelli che avevano imparato ad arrivare all’osso si spostarono ad un altro palazzo, era un picchiettare continuo di denti, una nube di fumo e sangue, ed ossa tirate a forza fuori dai muri, buone da spolpare fino al midollo, e poi più dentro fino ad estirpare i nervi a morsi.