Month: febbraio 2016

Flavia faceva sempre le sue cose

Flavia faceva sempre le sue cose, ma non ho mai saputo che cose facesse, si limitava a dirmi “oggi non possiamo vederci, perché faccio le mie cose”, e nemmeno sapevo che faccia avesse Flavia, ci scrivevamo soltanto su WhatsApp. Alla centesima volta le ho scritto che delle sue cose non me ne fregava più un cazzo. Per poi pentirmi e scriverle.

-Flavia a dirti la verità le tue cose sono diventate speciali, anzi, se tu un giorno mi chiedessi di venire da te a vedere le tue cose io ti direi di no! Perché temo si rovinino.
-Che stronzate dici? Io e le mie cose siamo cose distinte, faccio le mie cose per lavoro, e lavorando a casa non posso separarmene tu vorresti vedere me e le mie cose?
– Puoi mandami una tua fotografia e una delle tue cose?
-Posso. Ma giura che non ti spaventi, sono cose grosse per un essere umano. Io la foto di una mia cosa te la mando, poi vedi tu.
– Ma è un mostro!
– E che ti credevi?
– Che fosse una cosina
– E invece no. Faccio mostri con i denti a sciabola che sbranano uomini. Vuoi ancora vedermi?
– Con le tue cose no.
– Ma io sono sempre con le mie cose. Io sono quella cosa che hai visto e sbrano gli uomini.
– Ti offendi se ti dico che vederci è una cosa complicata?
– Ti offendi che ti dico che sei uno stronzo superficiale?
– Flavia non è per il tuo aspetto fisico, è per il fatto che sbrani, e poi potevi dirmelo subito che tu e le tue cose eravate la stessa cosa.
– Non ti faresti sbranare nemmeno dopo tanti baci? Nemmeno dopo aver fatto l’amore? Nemmeno se ti sbrano senza farti male pezzettino per pezzettino?
– Tanti baci in cambio di uno sbranamento?
– Si
– E va bene
– Ma sei coglione?
– Ho detto che va bene!
– Appunto sei coglione??? Cancellami dai contatti, solo un pazzo si farebbe sbranare da un mostro dai denti a sciabola. Che poi sono pure un maschio.
– Ok allora addio.
– Hahaha ma tu davvero credevi che la foto che ti ho fatto vedere ero io e che sbrano persone?
– si!
– E invece no! Ti mando la mia vera foto.
– Sei magnifica.
– Si ma tu rimani un coglione, ti saresti fatto sbranare!
– hahaha ma davvero tu credevi che io credevo che tu eri quella cosa nella foto? Guarda che si vedeva benissimo che era la foto di Alien!
– Resta il fatto che non possiamo vederci, perché io faccio le mie cose sempre.
– E allora io faccio le mie cose e tu le tue, e chiudiamo qui questa storia assurda! Che poi chi mi dice che quella nella foto sei davvero tu!
– Se è per questo nemmeno tu mi hai mandato una tua foto.
– Ma io sono tu.
– Sei me?
– Si
– Cioè tu sei quella cosa che sta parlando con me?
– Esattamente
– Quindi le cose che faccio sono le cose che stai facendo tu?
– Ci sei arrivata!
– E allora perché ci scriviamo?
– Volevo parlare un po’ con il mostro che ho dentro.
– E tu mi hai creata solo per una stronzata del genere? Che poi io mi chiedevo ma perché devo fare le mie cose, quando non ho nessuna voglia di farle? Ma vaffanculo!
– Senti, anzi sentiamoci, siamo la stessa cosa ok? Devi renderti conto di questo, devo rendermene conto io per primo, quindi ora al mio tre, io ti chiedo chi sei? E tu non dici nulla ok?
-Ok
– uno… due… tre…
– nulla!
– Sei troppo furba per essere soltanto un mio pensiero.
– Ormai è così, sono un tuo pensiero talmente furbo che si rende conto di essere un pensiero e non vuole scomparire tra i tuoi pensieri. E ora dovrai pensarmi ogni giorno e darmi almeno un bacio.
– Ok Flavia, ti darò un bacio al giorno.
– E un giorno a forza di baci sarò un pensiero talmente grande che diventerò più di un pensiero, ma un cervello e un corpo intero.
– Va bene Flavia, ora però questa storia è finita, dobbiamo lasciarci.
– Un bacio… alla prossima.

Ho passato anni ad ascoltare Frusciante

Ho passato anni ad ascoltare Frusciante
con la testa appoggiata all’amplificatore
e le mani su una tastiera in palissandro
a gridare all’anima assieme a lui
nel suono in cui sono unite certe cose.
Sono arrivato troppo giovane a certi fiori
e troppo vecchio il ricordo
di certi ricordi, anche se so che il tempo
non è quello, forse devo tornare alla musica
lasciare la poesia
rituffarmi nel fiume
spaccare il pc, la connessione
stavo bene quando ero solo con il mio sudore
e le anime del mondo nelle vene.

Celeste e la luna

Celeste era un amico di famiglia, aveva la pelle così appiccicosa che in estate le mosche vi si attaccavano sopra le zone di pelle scoperte dagli abiti, spesso sulle braccia e sul cranio pelato. Era un amico di mio padre, ricordo le loro giocate a scala quaranta nelle serate in cui la luce lunare a un certo punto diventava più forte della luce artificiale. Io guardavo e mangiavo popcorn, mi divertiva vedere gli insetti della campagna attratti dalla testa luccicante di Celeste. A volte vi rimanevano appiccicate grosse falene, allora le afferravo delicatamente dal corpicino per non rovinare le ali e le ributtavo alla luna. Pensavo che la luna fosse la madre delle falene. A volte quando giocavano a carte e mi annoiavo, prendevo un cestino di palline da ping pong, mi sedevo sulla poltrona in finta pelle a torso nudo e pantaloncini, con la luna alle mie spalle, e tiravo le palline addosso a Celeste. La testa valeva cento punti, le spalle cinque, le braccia uno. Mi veniva da ridere perché a volte riuscivo ad appiccicargli addosso anche venti palline, e sembrava una rana con addosso le uova di luna. Una sera aspettammo Celeste fino a tardi, non vedendolo arrivare, mio padre uscì verso la strada.
-Vieni a vedere Andrea! Sulla testa di Celeste si è attaccata la luna!-
Era una luna grande come tutto il campo, Celeste era disteso sul prato e la luna sembrava un cappello gigantesco. Mio padre tirava Celeste dalle mani ed io spingevo la luna verso il cielo. Era farinosa e calda, riuscimmo a staccarla dalla testa appiccicosa di Celeste, e lei rimase sospesa nel campo. Corsi in casa, andai a prendere le mie palline da ping pong, riuscii a tirarle sulla luna, mentre lentamente si alzava per andare a occupare il suo posto. -Ho fatto un milione di punti!- Urlai. E mentre la luna saliva, si formò una nube di falene attorno alla loro madre. E le mie venti palline, se strizzo forte gli occhi, mi sembra ancora di vederle.

Come tu fossi acqua

 
 
 
Ci saranno sempre ballerine
che danzeranno fuori dai telegiornali
con ali molto umane
fatte di profumo di capelli
 
con quelle ali io so volare
e sono il migliore dei ballerini
quando danzo in tutti i tuoi mondi
quando ti adombri per celarmi
per giorni o mesi, i tuoi abbracci
 
e poi riappari come gli acquazzoni estivi
e come una pianta io mi riempio di te
come tu fossi acqua.

Ti sei quasi dimenticato

Ti sei quasi dimenticato
di quel che volevi diventare
come un mare chiuso da montagne sempre più strette.
Tutta la liberà chiusa in una stanza,
non dimenticare, tutte le corse in bicicletta
quei canti di entusiasmo e sudore
quel sentirti innocente
e la voglia di sporcarti
quel sentirti pulito fino al centro
e tirare calci al tempo
è solo un gioco di specchi
queste montagne di paura
cresciute dietro la schiena.
So che anche se ti allontani ci sei
hai la forza per salvare qualsiasi cosa
non dimenticare quel che eri
quando
ti sei sentito nella rosa che annusavi
a volte basta un respiro
per ricreare un oceano.

Mi rapisci

 

Mi hanno rapito i tuoi occhi
I tuoi capelli,
mi hanno rapito i tuoi sorrisi
il tuo collo, le tue braccia
il tuo corpo che sento
anche se chiudo gli occhi
fino ai mignoli
mi rapisce la tua voce
il tuo respiro.
Mi rapisci anche se non ti penso
qualcosa di te mi rapisce
in un posto dove è ancora tutto da iniziare
mi tieni sotto sequestro da una vita.

Parole disadattate

Ho trovato una parola ferita
l’ho fasciata e l’ho accudita
era una bestemmia abbandonata per strada
ma è diventata docile.
Come cani tenuti in canili
ci sono parole tenute in dizionari
e usate solo per convenienza,
vengono strappate dalla loro casa
per essere riempite di odio.
Quella che ho trovato, era diventata cattiva, mordeva.
Certo rimarrà sempre una parola scurrile,
è nata meticcia; la parola in questione
è “bastardodimerda” è lunga come un bassotto
con le zampe corte e le orecchie grandi
ti salta addosso con tutto il suo peso
e ti scalda, scodinzola e sonnecchia
con i suoi grandi occhi sognanti,
poteva nascere fatta di amore
ma le parole mica si possono castrare
si accoppiano con i sentimenti
e vengono fuori così.
Invece di regalarvi belle parole
prendete quelle disadattate
le “testedimichia”, le “crepastronzo”
le “ballottaggio”, le “guerra”
vanno prese ancora piccole,
l’amore non le fa crescere
le fa regredire, in una parola che si può dire
senza fare male.

Quel profumo di luna cruda

 
Al mattino mi viene voglia di palpare il pane nelle ceste delle panetterie, sapere che di notte c’è gente che fa il pane è rassicurante, vorrei abitare sopra un forno, sniffare quel profumo che fa lievitare. Conosco un panettiere che usa la luna come pasta madre.Mi verrebbe da palpare anche la luna e poi infornarla, io ci vedo una focaccia in una luna piena. Di notte viene da palpare qualcosa, come le persone che stanno così vicine, che si impastano, e i capelli di uno vanno a finire nella schiena dell’altro, e non sai più qual è il tuo gomito o il suo, la persona che si diventa assieme, è come una forma nuda di pane, la bocca sugli occhi, le gambe sui fianchi. La notte è un panettiere per questo tipo di amanti, li modella in nuove forme e dopo rimane quel profumo di luna cruda, separati di nuovo nelle loro forme impenetrabili.