Month: gennaio 2015

Una lezione su fisica, musica, filosofia..di Fabiola Giannotti

bell’articolo

Una casa sulla roccia

giannotti

di Francesco Agnoli

C’è qualcosa in comune, tra una poesia e un trattato di fisica? Tra la musica di un violino e l’osservare il cielo con un cannocchiale? Tra una statua classica, come il discobolo, con tutti i suoi muscoli armoniosamente tesi, l’armonia di un canto polifonico e le scienza sperimentale? Tra una preghiera al cielo, e la passione per le stelle?

Certamente. Tutti ricordiamo che Pitagora era, anzitutto, un filosofo e un teologo, ma nel contempo un matematico e un amante della musica.
Chi abbia creduto e dichiarato, ignorando la storia della scienza, che vi sia un contrasto tra la scienza sperimentale moderna e la teologia, la filosofia, e l’arte in generale, non è facile poterlo dire. Ma penso che siano stati i filosofi mediocri, gli scienziati mediocri, gli artisti mediocri. Cifra della mediocrità è capire un qualcosa di qualcosa, senza sapere né pensare dove metterlo; è il credere…

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Pornopoesie

Certi poeti scrivono di donne
nelle loro poesie,
come fossero arbre magique
come se fossero dei colluttori.
Disponibili a giochi assurdi,
una pornografia mascherata,
con tanto di scenografia.
Tolto lo zucchero, l’esca
Rimane la puzza,
rimane quello che c’è dietro la scena
ed è lì che è difficile fare poesia.
Non parlano di alitosi,
di bollette,
di cosa fanno dopo essersi masturbati
sembrano sempre affascinanti certi poeti.
Non hanno genitori,
amici, cani deceduti,
solo bocche da baciare.
Dappertutto.
Non parlano della crudeltà di certe bocche,
sembra tutto facile
sono poesie siliconate
pompate,
sono orge
bukkake sopra bocche sorridenti.
Fantascienza.
Ed io a volte sono così,
metto qualche penna sgargiante
come fanno certi uccelli,
faccio una piccola parata di piume,
e poi riannego nel piombo.

l’amor accoreva

Se ripenso a quanto spazio
In te racchiuso
ho colto sonnecchiando,

Sapendo che a portata di mano
ogni più bel ricordo sarebbe giunto.

Ma io e te eravamo pervasi
non solo dal nostro amore,
l’amor accoreva;
quello dei vasi
degli infusi
delle grandi solitudini

Per questo mi coglie ancora
dentro
ed è inestimabile.

Poso l universo su ciò
che non mi desidera
E più fa silenzio
più ne ha l’odore.

La sindrome della kappa

bbc

Una volta ero così messo male che ho avuto una relazione con una panchina. Ero lì per un appuntamento vero, sbracciato al sole di giugno osservavo il ponte sul fiume in sekka , doveva arrivare da lì “Kappa”, una ragazza che avevo soprannominato così perché metteva la Kappa a iosa, nei nostri messaggi.
-Kazzo, Skusami mio nonno è Kaduto a kasa dalla skala a kiocciola, e Kredo Ke dobbiamo rimandare l’inkontro.-
Lessi il messaggio e poi allungai il braccio sulla panchina di legno, chiusi gli occhi per decifrarne le scritte con i polpastrelli, avevo imparato il braille da autodidatta. Sul fiume intanto arrivò un pesce talmente grosso che si incagliò sotto il ponte. Me ne accorsi perché agitando la coda aveva spruzzato l’acqua su tutto il quartiere e quindi anche sulla mia faccia.
-E’ un Kapodoglio gigante!- Urlavano i passanti. Arrivarono i pompieri a disarcionare il pescione, ma io rimasi ad akkarezzare la panchina, e lei mi akkarezzava, mentre altri kapodogli giganti arrivarono dalla foce del fiume incagliandosi uno sull’altro. Era come un immenso treno, ma ogni vagone era un Kapodoglio.
Si formò una folla, arrivarono i giornalisti.
-Senti , devi sgombrare la pankina, per precauzione- Disse una voce femminile in controluce.
– Ma io non ho paura dei kapodogli e neppure degli sgombri- Risposi.
-Neppure io sono qui per cercare di salvarli.
-Ed io sono qui per kaso, tu credi al kaso?
-Io no.
-Questi Kapodogli, hanno fatto un giro immenso per arrivare qui e farci incontrare.-Le dissi.
-Non è possibile, qui non c’è il mare, qualcuno deve averli liberati.- Le chiesi come si chiamava.

-Senti Katia, facciamo un esperimento: Allora tu vai dall’altra parte del fiume e arrivi qui, e ti siedi e mi abbracci.
-Ma c’è una folla immensa ed il ponte può crollare, per la spinta idraulica di tutti quei capodogli panzosi.
-Allora stai seduta tu qui, faccio io. Se non funziona amici come prima ok?
-Ok-
Mi spinsi tra la folla sul ponte e poi facendo finta di nulla, camminai verso katia, mi sedetti accanto a lei.
-Ora dammi la mano… i capodogli devono credere che ci amiamo davvero – sussurrai. E lei mi diede la mano.
-Ora dammi un bacino sul viso.-
-Mi sento tutti gli occhi dei capodogli addosso-
-Eh lo so! Ma fai finta di nulla, credici.-
-Smack!-
Ci fu un applauso immenso, i capodogli battevano le loro pinne agitandosi di felicità, e poi sbattendo le pinne e le code si alzarono in volo oscurando la città per qualche minuto.
Ed io e Katia passeggiammo per la città, mentre la folla si smistava, ed il suo trucco si scioglieva sotto la pioggia.
-Sei proprio bella Katia- dissi baciando gli occhi sporchi di rimmel, della mia panchina.

Le ragazze cieliegio.

o

Certe ragazze fioriscono anche da vestite,
con qualunque vestito
.
Fanno fiorire i loro vestiti,
e quando una ragazza si siede sul bus
ed è una ragazza fiorita,
la osservo come una pianta di ciliegio in fiore.

Con uno sguardo botanico.

Se sono seduto dietro, ne sento il profumo.
Il profumo delle ragazze in fiore
È così intenso da essere lieve.

E a volte quando una ragazza fiorita scende dall’autobus,
mi siedo dove si è seduta lei,
sopra quel nido invisibile
fatto di petali tiepidi
rimane un pò di felicità su quel sedile.

le braccia del tempo

Vedi, le tue braccia sono le braccia degli orologi:
staccate al loro meccanismo.
Ed è così che il tempo con te si rilassa,
si corica, sbadiglia e poi respira e balla.
Le tue braccia sono il tuo tempo,
e sono il tempo di chi ami.
Hai mai visto un tempo che ti abbraccia?
O che cucina; l’hai mai visto curare il tuo tempo?
Tu sei il tempo che cura il mio tempo,
e come tale hai le facoltà di rimandarlo indietro
di eluderlo, di decifrarlo , di dargli una stima.
E così anche l’ora, diventa una muta meteora,
ci sfiora.
Il tempo non è fatto di carne, e allora perché dare la carne al tempo?
Tra le tue braccia ritrovo il suo stesso messaggio,
ma tu sei un tempo che parla
e mi guarda, mi profuma. Che usa il nostro nome.
Ci coviamo in quel punto dove tutto origina,
e ogni tanto ci ritroviamo :
siamo stati nei fondali dei sogni
per questo l’unica cosa sensata da fare,
sarebbe amarci.
Negli occhi in cui ritroviamo quei sogni
che danno silenzio al tempo.

sembra che gli basti un caffè!

Ortiche romboidali
Api geometriche,
c’è qualcosa di scurrile in questa composizione
di uomini scelti per la loro mansione,
inneggia alla distruzione la loro calma.
Risucchiati dai loro smartphone,
lavorano alle torri di cemento,
sarebbe meglio se non lavorassero
erano più umani una volta,
mi sembra di ricordarlo,
ma è una deduzione che faccio
con una semplice riflessione:
sembrano sempre più estranei.
Nessuno nasce estraneo così,
più diventano forti e più diventano estranei,
lontani anni luce dai barboni che dormono al freddo.
Sono i resti di una movida-novita,
ma gli basta un accento, una Novità.
Per motivarli a lavorare per altri cinquant’anni
Tra carroattrezzi che sfrecciano
In cerca del loro incidente
E parcheggiano sbattendosene il cazzo
delle fermate degli autobus,
sembra che gli basti un caffè!

Ho guardato a lungo i nidi appesi ai rami

Arrugginiscimi, con il tuo modo di fare
ho visto troppi ambienti puliti e asettici,
sporcami di pulito
scava in me la terra,
arami con parole profonde,
divellimi da questi solchi
adombrami di parole semplici
sii il cinguettio dei passeri
che inosservati, allegrano luoghi tristi.
E’ dai rametti che rinasce vita,
non da questo scempio di baracconi umani.
Ho osservato a lungo i nidi sugli alberi,
resistono agli inverni, sospesi.
Intrecciamoci attorno al nostro calore
emigriamo l’uno nell’altro
per qualche minuto al giorno.
Sono venute tante cose ad esplorarci,
mulinelli di tempo,
c’hanno tolto la terra sotto i piedi.
Ho guardato a lungo i nidi appesi ai rami
dentro ai muri, sotto ai cornicioni,
sono fatti anche di pezzi plastica
e
resistono perché sono costruiti di voli
come i vestiti che ami negli armadi
quando li indossi.

Lo ragazza che quando incrociava i suoi occhi mi accendeva

occhi
Una volta ho conosciuto una ragazza che con lo sguardo accendeva le sigarette. Il bello è che lei non fumava. La cosa nacque così per caso. Fuori da una birreria.
-Scusa hai da accendere?- Le chiesi. E lei prese la mia sigaretta in mano, incrociò gli occhi , la guardò intensamente e la accese. –Sei Un fenomeno!- Dissi. Poi lei ritornò dentro al locale, tra i suoi amici, come se nulla fosse. La incontrai sotto i portici del centro mesi dopo.
-Sei tu la ragazza che mi ha acceso la sigaretta con lo sguardo vero?-
-Oui, c’est moi! Ma ora non ho testa di accenderti la siga, comprati un accendino.- Mi guardò con uno sguardo dolcissimo, pensai che la dolcezza è capace di tutto.
-Guarda che non faccio parte del Cicap, mi hai solo colpito, io le sigarette con lo sguardo le spengo.
-E’ una dote anche quella! Comunque ora devo andare.-
-Ok, dimmi solo una cosa, è stato un trucco o è tutto vero?
-Stai mettendo in dubbio la mia facoltà di accendere le sigarette? No perché se è così mi incazzo, guarda le mie pupille. – Osservai le sue pupille nere, attorno alle iridi azzurre, incrociò gli occhi e mi fissò la fronte. Sentii un dolore sopportabile e l’odore di pollo.- Ecco ti ho fatto un tatuaggio superficiale.- Prese il suo cellulare, e mi fece una foto. Mi aveva disegnato un piccolo quadrifoglio. Si stupì della mia sopportazione al dolore fisico, e da quel giorno diventammo amici.
-Ho bisogno di raffinare la mia dote e tu saresti la mia cavia amica perfetta.
Iniziammo ad incontrarci metodicamente, un’ora al giorno, prima sulla panchina e poi a casa sua. Sopportavo quel bruciore, perché quando incrociava gli occhi per bruciacchiarmi, mi scioglievo dall’emozione.
Quell’innamoramento, trasformò il mio corpo in prato di fiorellini di ogni tipo, anche piccole parole, come :“prova” “Olà!” ,sulla pancia mi disegnò i numeri di Fibonacci, come sulla mole Antonelliana. E dopo ogni incontro mi spalmava uno strato di Bepanthenol sulle piccole ferite. Mi sentivo ustionato d’amore, dove passava gli occhi non crescevano nemmeno più i peli. Ma un giorno invece della solita sessione a occhi incrociati, mi disse che prima di farmi nuove bruciacchiature la mia pelle doveva guarire.
-Ci vorranno almeno due settimane, come una scottatura con il sole.
-Penso che ci vorrà molto di più per quello che mi fai provare.-
E così mi diede un bacio ad occhi chiusi, e poi mani e carezze, mi fece indossare degli occhiali da saldatore.
-Mettiti questi, per guardarmi negli occhi senza bruciarti. Mai nessuno ha avuto il coraggio di fissare il mio sguardo in quei momenti. Di solito lo faccio ad occhi chiusi.
-Voglio provarci io – Mi sentii come Re Artù, in grado di estrarre Excalibur dalla sua roccia.
– Il suo strabismo di venere, non mi scalfì la retina, non divenni cieco, anzi guadagnai pure qualche diottria. Dopo due mesi buttai via gli occhiali.