Month: dicembre 2015

Ti voglio tara

 

Senza orpelli è il vuoto,

quindi spostiamoci dalla tara primitiva

nessuna aggiunta al nudo

il profumo che crei nel sonno

è nuda vaniglia il tuo sogno

nudo seme, con te sono

il frutto attaccato al suo ombelico

nessun decreto ci vieta di non imballarci

ed io non sarò nudo fin quando ho peso

spostiamoci di lato dal brutto

da dove passano gli involucri, i tir, le casse

un solo passo dal filo di piombo

non sono i millenni che ci spaventano

ma i secondi in cui può accadere di tutto

spostiamoci dalla parte dell’infinito

ricordamelo con un dito, con un soffio

che non siamo merce del tempo.

 

 

 

 

 

 

lo smog fa sbocciare la poesia

cosinaQuesto bel tempo, un inverno mite,
a Torino il cielo è azzurro da giorni
fioriscono i ciliegi anche in Germania,
e in corso unità d’Italia, in tutta Europa
bounganville, narcisi, c’è troppo profumo
lo smog fa sbocciare la poesia, ed è allarme.
Dicono che le piante sono impazzite
mi è fiorito il limone in casa,
non fanno nemmeno più testo le madonne che piangono
forse sta crollando il muro dell’ Inverno
e potrò tenere i cactus fuori dal balcone tutto l’anno
mangeremo ciliegie a San Valentino
cresceranno le banane a Milano
non ci sarà più il gelo, si estingueranno gli sciatori.
Fosse arrivato prima lo smog,
prima degli americani, a liberare qualcuno dalla neve
qualcuno sulle panchine,
le piante se la caveranno, se ne fregheranno del particolato
sono rivoluzionarie, continuano ad emettere ossigeno
mentre si ostinano a dire che quando piove è brutto tempo.

il mio primo sabotaggio

Mi piaceva come giocavi a calciobalilla
Così maschiaccia, ti chiamavi Daniela, ed era l’ottantanove
Ho ancora una frazione di secondo del tuo sorriso.
Soggiorno di fine catechismo in montagna,
sei stata la mia prima cotta, ed io ero timido.
Mi dicevano diglielo! Scrivici un biglietto!
Ma quella notte è entrata una vipera nella stanza,
e quel gioco notturno in cui ero rotolato giù per la valle
mi aveva sporcato di merda i vestiti.
Avevo soffiato il soffione in faccia ad un mio amico
e ha avuto una crisi asmatica, e la febbre.
Mi sono sentito in colpa, tra maschi si parlava di seghe e figa,
-Se vuoi glielo dico io- E io -no!- le formiche giganti che mordevano
E poi c’era già qualcuno che aveva imparato a suonare la chitarra,
io a malapena il flauto, ho capito il senso della tua maglietta fina
e durante le passeggiate ero costretto a stare accanto alla suora
perché, il dottore aveva detto che avevo il soffio al cuore.
E Vasco Rossi cantava Liberi Liberi da un mangiacassette,
le montagne mettevano malinconia già di loro.
Mi ricordo che in campagna, ho preso la bici
e ho fatto la discesa pedalando verso il sole
piangendo, il mio primo sabotaggio.
ba

Ti voglio lorda

Io non so quanti batteri, o fermenti lattici vivi ci siano in un corpo,

mi mancano anche quelli, e sono miliardi

se penso a tutti quei globuli rossi e bianchi, alle tue piastrine

al disegno infinto e unico delle tue sinapsi,

alle tue cellule, e a quello che c’è dentro alle cellule.

Mi basta sapere che sono dei mattoncini

e tutto sommato sei anche una casa

con bel paramano rosa tenue e profumato

una casa calda, a volte umida, con tante finestre

e forse un piccolo zerbino di peli morbidi.

Sono sfrattato dalle tue ciglia,

dai tuoi dotti lacrimali, dalle tue ghiandole, dai tuoi intestini

da un mucchio di ossicini, dai tuoi denti

dalla tua lingua, dal tuo cavo orale

dalle tube di falloppio, dalle trombe di eustachio

dai tuoi timpani, dalle tue ovulazioni

dall’orchestrazione poetica dei tuoi movimenti

dalle tue corde vocali, e anche quelle mute.

Sei un concerto di sinfonie, in evoluzione,

mi mancano i tuoi tendini, i tuoi sbadigli.

Vorrei fare amicizia con le tue cellule adipose,

con la tua melanina, la sprizzi da tutti i pori, e i tuoi pori mi mancano

quanto i tuoi nei.

Mi manca quel rumore che fa la pancia quando ha fame,

e quel modo di digerire assieme, averti un po’ nello stomaco

in circolo in modo omeopatico, arriveresti ai polmoni, alle mani,

al cuore di ogni mia cellula.

L’amore ha un peso specifico

ed io ti vorrei lorda, con tutto il tuo peso

non netta, non priva di qualche otturazione

mi mancano quei sorrisi che fai all’improvviso

e sembra tutto senza peso, più luminoso

senza soluzione.

 

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acquarello-andreagruccia

Affettati

Qualcosa sbatte dentro, percuote
ogni giorno aumenta la conferma
di una distanza, le ricorrenze
ti obbligano a rivedere persone.
Un decennio fa, non si aveva la fotografia degli altri,
sotto gli occhi ogni giorno
ci si incontrava con più sorpresa.
Per questo le macchine avevano perfino qualcosa da dire,
il traffico era per qualcosa.
Si parla di affettati, sono cambiati poco
ogni tanto un pezzo di salame nuovo
e c’è sempre qualcuno che tira in ballo
visioni di puttane stratosferiche
anche un cantante che non pensavi,
e allora penso che il mestiere delle prostitute
non sia scopare a pagamento
ma tenere il confine
di una cattiveria inaudita
di una acidità inumana
del vuoto assoluto
del sangue dietro a ogni festa

due gambe nude nella notte
come una poesia che beffa la morte.
Mia madre che mi prende sottobraccio,
la malinconia è una profezia che non mente mai.

 

 

disegno; gruccia.

 

blu

Dove vanno in vacanza le poesie?

Dove vanno in vacanza le poesie?
Come passano il tempo, mentre nessuno le legge
legate assieme dalle parole,
fanno l’amore con altre parole, altre poesie
scappano dalle antologie,
rimangono stampate, ma scappano
rimane solo l’involucro, senza spartito.
Alcune ti saltano addosso come gatte sorde, ruffiane
le accarezzi, fanno le fusa, graffiano
ma sono randagie.
Questa è la poesia, di una poesia in vacanza,
parla di mare, di mucche in una stalla
avevano un nome e un colore,
e nell’odore del fieno invernale
vi era il mare, distese di vento compresso
estate ammassata nel fienile
con ragazze che profumavano di paglia
come le stuoie e le sedie dei cortili
annusavo la loro pelle nelle corde,
ed era tutto imballato come in una nave piena di mosche
e la nave era l’intera campagna
un albero scuro in fondo ai campi
contorto come la nostalgia
ormeggiata alla deriva
una casa ancora più lontana
mare di periferia, slavato di pioggia
mi spingeva a cercarlo nella salsedine dei portoni
nei ripostigli benedetti dall’ombra e dal piscio
la fantasia di trovare nella sabbia
le carezze di una donna.

 

 

foto: andrea grucciaPicsArt_1441588381803

la bellezza non basterà mai a placare la notte

Sei bella come gli agnolotti ripieni fatti in casa
una cassetta di mele renette
un albero di cotogno con i cotogni appesi
un disegno inedito di Leonardo
un cortile alberato
fai sembrare l’aria una tappezzeria leggera
in cui si appigliano i secondi
come le zampette dei passeri
che poi spariscono,
lasciando le pozzanghere planare come mante
pezzi di cielo azzurro nella notte
luce bianca e filtrata sulla pelle.
Ma non basta per tutta la notte
la bellezza non basterà mai a placare la notte
si può placare con il fuoco azzurro dei fornelli
e l’odore del soffritto di cipolle?

aa

 

davanti ai treni

Le stelle potrebbero starsene anche molto più in basso
tra queste luci in città,
nel fuoco dei ritorni
sei vicino ed è come se mangiassi l’universo
si smuovono nel passato
come presenti
gli assenti e le assenze
quanto sono belli i tuoi peli
le tue sopracciglia hanno qualcosa di sensibile
siamo incantesimi senza tempo
a volte l’amore è un piccolo pianto
una sigaretta in meno
davanti ai treni, prima che partono

I giorni delle foglie

Siamo Il momento in cui crescono le foglie
anche mentre è inverno.
Altalene tra due alberi
un vestito impigliato tra i rovi,
le tue gambe impaginate nel vento
da leggere nel loro linguaggio
di polpacci e caviglie
rimangono un po’ sospese.
I graffi sono guariti
puoi accarezzare ferite profonde
il dolore ritorna piacere
l’intero corpo è sempre pronto al tatto
al lieve, al solletico
e al tendere al nuovo
invecchia, come un errore.
Crescono sempre le foglie
coprono i vuoti,
così la nostra forma è un vuoto a più riprese
ogni superficie è così sensibile
gli anni passano ma i contorni
rimangono identici,
la tua spalla che ama le carezze
è la stessa di sempre.

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Avvolti nel tempo

 

Avvolti nella stessa sciarpa
nessuno ci veda mentre ci baciamo
seduti nel sedile di un pullman
o panchine, nessuno ci veda
mentre stiamo nella nostra casa in qualsiasi via.
M’incantavi quando non c’eri,
la luna con quella sciarpa bianca
sembrava che sotto baciasse qualcosa,
con quella bocca grande di chi guarda per la prima volta aeroplani
eri tu che mi guardavi.
Sembrava che mi agguantasse la notte,
come fanno i felini o le donne
che apparecchiano nel buio un carillon
e fanno che il buio sia confortevole
perfino lo spavento
dietro a un velo, o una tela scura
una mano che ha visto tristezze
e malinconie, il tempo non scopra i nostri volti
avvolti nel tempo
come in quel quadro di Magritte

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Disegno : andreagruccia