Sei venuta a casa mia, come altre mille volte
e poi è venuto anche Dario,
ho parlato tanto di te a Dario,
di quando ero innamorato e ci strusciavamo,
e tu poi ti staccavi e mi lasciavi in sospeso.
Sette anni innamorato di te.
Hai detto, sto qui, nella stanza, sono timida.
Così io e Dario siamo andati a parlare nella stanza da letto di mia madre,
aveva fumato, voleva farmi sentire la sua nuova canzone.
Mi ha parlato del concerto che ha fatto ieri sera,
mentre cercava di fare la canzone con la mia chitarra.
E poi tu hai aperto la porta, e avete parlato tanto,
lui ti ha dato il suo contatto su facebook, tu il tuo
e poi l’hai registrato con il cellulare mentre cantava.
E io ho provato quella cosa dentro , non mi andava di parlare,
Dario ha capito che non mi andava di parlare,
tu sei andata via, dopo un po’ è andato via anche lui,
mi ero preso male come anni fa,
quando uscivo con lui per locali, due ragazze sedute con le birre,
proprio in quell’epoca in cui ero preso di te,
ho bevuto e poi mi sono seduto davanti a loro,
il mio primo “baccaglio”, non l’avevo mai fatto
una di loro mi aveva detto che ero sensibile,
stavo per darle il mio numero e poi è arrivato Dario,
e ha parlato lui, e dopo due minuti erano già al bancone
con i cellulari in mano e slinguate.
Quando accadevano ‘ste cose, Dario mi diceva di scrivere canzoni,
di usare quella cosa che ti mangia dentro in modo creativo.
Le parole sono frecce, bombe, devi usarle bene o ti fottono,
devi usarle prima degli altri o ti tradiscono.
Riempile d’amore falle diventare più forti di te,
trova il coraggio di farle respirare nella realtà
perché in certi momenti una poesia può sorreggerti
può metterti dentro l’amore che non c’è.
Month: novembre 2014
Nido2
Siamo stati in un nido fatto di rami,
e poi in un altro fatto di vagoni
abbiamo avuto un nido sul ballatoio
E anche alcuni su alberi veri.
Le persone che si amano diventano nidaiole,
fanno i nidi, certe coppie sebrano castorate,
altre topinate, e poi le coppie fenicotterate
le cornacchiate, le merlettate, balenotterate,
butterate, caprettate, gattinate, canizzate
tortorizzate, motorizzate, morteammazzate
boacostrictorizzate, lettorizzate, cellularizzate
fotoritoccorizzate, parzialmentepastorizzate,
compliciqueltantodasopportassetè,
cinemapopcornslinguatinesalatementrepensanoaquellaltrocheinveceslinguameglioanchesenonconosceozpetek’ketè?
Confidenzialiquasiamichesempreunpòdistantipermantenereungiustoapprocciotipoquandotivedomifaisessobastachenontivedotuttointerosennòmifai’mpressioneperchèassomiglitroppoatuamadreoatuopadre
Babbuccerizzateconfiglicresciutistronzicheritrovanolaconfidenzadopovent’annimaqualcosaècambiatoeallorasidannoalloscambismoetrovanocoppiepeggiodiloroequinditornanoadamarsiunpòeadascoltareluciobattisticomelaprimavolta
Balbuzientizzatechenons’hannomaidettountiamotuttointeromatorinosoloandataventieuroconilfrecciarossadicapelligolosadiuccelliequìtorniamoalconcettodelnidouccellinieuccellaccitrovanosempreunnidoperaccoppiarsimall’anagrammadinidoènodimaanchedoniiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiVoglioììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììFare un nidoiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiCon te.
Nido
Siamo stati in un nido fatto di rovi,
e poi in un altro fatto di vagoni
abbiamo avuto un nido sul ballatoio
anche alcuni su rami veri.
Uno in macchina, abbiamo dormito nel baule
sembra surreale ma è vero, avevi portato coperte e cuscini.
Poi abbiamo litigato per qualcosa,
eravamo troppo esposti per dormire tranquilli
il mare di notte cambia faccia
bisognerebbe tenere una cartolina del mare
con quelle scritte estive
da osservare in quei momenti.
O avere una casa con piastrelle azzurre,
e stelle marine sul muro.
E’ stato il mare ostile a guastare tutto
e hai guidato tutta la notte verso casa.
Ti si chiudevano gli occhi,
ci siamo fermati all’autogrill,
e poi siamo arrivati a casa,
non ricordo se abbiamo dormito assieme
o separati, ci siamo fatti fregare
abbiamo perso il nostro nido nel mare.
La ballerina
n un vagone deserto diretto verso Torino, c’era solo lei, una ragazza vestita da ballerina, era tutto in bianco e nero, fuori dai finestrini solo notte buia nella notte. La ballerina era coricata su due sedili al lato opposto, la sua pelle aveva dei bei grigi, un vestitino e scarpine bianche, come le ballerine parigine di Degas, poi con le gambe fece una sforbiciata e puntò il piedi sul finestrino, un enorme pesce rosso uscì dalla notte e si schiantò con la bocca sul quel vetro, ne arrivarono altri e si schiantarono facendo il rumore di palle di neve bagnate scagliate con forza, il finestrino si colorò di squame arancioni e rosse, l’unico colore visibile. Mi cagai sotto. Lei invece si infilò un paio di cuffiette, cominciò a muovere le braccia, poi si alzò fece un salto con battito di gambe in aria, e ritornò nella stessa posizione. Mi fece un inchino, mi guardai indietro, alzai la mano, accennai un sorriso, dissi “ciao”, mi grattai la fronte e guardai il nulla per non avere grattacapi.
-Oja, ho un capogiro.- Disse assumendo una posa plastica, avevo bustine di zucchero di canna rubate al bar della stazione. Mi alzai, lei scivolò sulle mie braccia. Ma si riprese subito. –Vodka, cazz- mi rispose. Era carina però, la luce rossa delle squame si rifletteva sulla sua pelle, con sfumature rosa pastello.
-Prima ti ho vista, fare quella cosa, ma sarà stata una coincidenza.
-Cosa?
-Quel branco di pesci rossi.
-Ne est pas une coïncidence.- Rispose, e vabè, andai a risedermi al mio posto, invece lei fece una piroetta e poggiò le mani sul finestrino, e mannaggia la puttana, un pesce più grande degli altri mandò in frantumi il vetro, ebbi appena il tempo di afferrare le sue caviglie,fummo risucchiati da un vortice di pesci rossi che girando su se stessi ci spinsero fino al buco luminoso altissimo purissimo, ma levissimo un paio di coglioni! Piantai una craniata su quel tombino in ghisa, ed uscimmo sputati in una piazza che non avevo mai visto. Era giorno, faceva caldo, una cerchio di folla colorata che applaudiva ,anche la ballerina aveva cerchi rosa sulle gote che prima non aveva. Mi diede anche un bacio sulla guancia.
-Fai finta di niente, passa con il capello, poi ti spiego.- Sussurrò al mio orecchio, dandomi un sorso di vodka. Raccolsi centoventi euro. Poi andammo a fare pranzo in un bar, eravamo a le Pigalle di Parigi, a me stava anche bene, mi spiegò che era un’artista di strada, riusciva a fare quelle cose lì; prendere le persone da un posto scelto a caso da un bambino cieco e farle uscire dal tombino. Mi propose di lavorare con lei, diventammo amici ,poi qualcosa di più, da quel tombino fece uscire persone incredibili, curai tanti bernoccoli, alcune ritornarono a casa imprecando i loro santi, altre cambiarono vita, Gianni ad esempio, prima faceva il carrozziere, ora fa il ladro, però è felice, vede la vita a colori, ogni tanto regala fiori alla stazione del metrò di “Avron”. Ora non so se questo amore è un trucco, ma finchè la gente batte le mani con tanta meraviglia, beato chi si trova e si ripiglia.
Una ragazza che pialla un parquet
La mia vicina di sopra quella che cigola ansimando, ogni tanto fa cadere qualcosa di pesantissimo. Deve avere una palla da bowling di piombo sul comodino che ogni tanto cade. La prima volta pensavo fosse crollata un’ala del palazzo. Però quando pialla il parquet a notte fonda mi rasserena, mi fa ricordare quel quadro di Gustave Caillebotte “I piallatori di parquet”. Una ragazza che pialla un parquet è sempre una meraviglia, deve essere un disturbo compulsivo, tipo onicofagia. A forza di piallare e lucidare, un giorno la soletta diventerà una sottiletta, me la ritroverò sudata e sporca di trucioli, sul letto, anche io ho un parquet, le dirò che può continuare, anzi l’aiuterò, arriveremo a quel maledetto nodo di Hartmann che un vecchio rabdomante trovò nel punto esatto in cui dormo. Quel ramoscello di salice si piegava tra le sue mani, era un rabdomante di professione, lo chiamavano per sapere dove scavare i pozzi, in posti impensabili, e aveva 80 anni, quindi non dico cazzate, troveremo quel nodo e lo pialleremo e guariremo dalle nostre geopatie.
Le ragazze che passano
La sollevata natura,
nel vorticoso e votivo non esserci
passaggi che un per volta
scarseggiano di vedute parole.
Così mi assolo, in queste strade,
dove s’assemblano meccanici
numeri organici, che circolano e rosseggiano
e alleggeriscono l’alto, odorano di malto
alleggeriti dalle vergognose pudizie,
di un chiasso microbo,
mi trovo gusto a fare mire,
come un cacciatore
ingrandire il confine del loro apparire
fino a farne parte,
in una lente di fantasie
ancora vociano a tarda ora,
nei loro occhi trasformati dalla notte
dove il furbo apre e inghiotte
i loro generosi sospiri.
inghiottiti dai nostri baci
Pelle su pelle,metti una gamba sulla mia,
mordi il mio labbro inferiore,
ti rubo la lingua , la mangio come una farfalla
ti passo la lingua anche sui denti:
“dappertutto” dici, dappertutto.
Passo la lingua sotto le labbra sopra le gengive.
Ci lecchiamo sotto la lingua,
ai lati della lingua, papille su papille
tu apri la bocca e io te la lecco
ti succhio la bocca
ho la tua bocca dappertutto
siamo una bocca sola .
E poi mi dici : baciami, baci lenti
lentissimi , con tutte le sfumature
Ci baciamo a rallentatore,
le nostre labbra non si staccano
“guai se si staccano “ sussurri
io non le stacco fino a quando non le stacchi tu,
“allora non si staccheranno” dici.
Staremo tutta la notte con le labbra attaccate,
le staccheremo solo per mangiare
e poi ricominceremo
intanto faremo l’amore
te lo terrò dentro senza muoverlo
“L’importante e che non stacchi le labbra”; ripeti.
Ingoiare saliva, diventare saliva.
Ti succhio la lingua, poi ripasso alle labbra.
Diranno che siamo spariti,
che non ci facciamo più sentire,
non ci troveranno più,
spariremo lentamente , inghiottiti dai nostri baci
Polline
Ho aperto il congelatore per cercare qualcosa da mangiare e ho trovato un ghiacciaio di nubi stratificate nel tempo, cumulonembi entrati per qualche strana ragione nel mio congelatore. Ho preso una forchetta e ho cominciato a disgregare quella formazione solida, per creare un varco verso il cibo incastonato tra le stalagmiti. Quella montagna di ghiaccio sotto le mie forchettate è andata giù a pezzi grossi, ed è apparso un barattolo di polline che avevo messo a Maggio, polline di fiori, ora devo capire se è commestibile. Cmq ho tirato fuori quel vasetto fumante e mi è sembrato una provetta di sperma tolta dall’azoto liquido. Le cose ghiacciate ti pongono dilemmi scientifici che a temperatura ambiente non ti sfiorano neppure. E’ un modo per mettere in pausa il tempo, se ci si organizza si potrebbe mettere via fette intere di primavere, stuoie ancora profumate di mare e sole, ma anche oggetti di giorni particolarmente felici, da fare scongelare quando hai bisogno di quell’abbraccio tenuto congelato tra le lenzuola. L’erborista aveva detto di prenderne un cucchiaio raso al giorno, per la spossatezza, ma quel polline deve avere fecondato i fiori del mio giardino segreto, perché quest’anno l’autunno che ho sentito dentro è stato più intenso, ci sono state un sacco di foglie e fiori secchi, una foresta che prima non c’era. Alla faccia della flora batterica, il polline di quei fiori nudi e festanti nati nelle valli del Tirolo o che cazzo ne so io, portati con le zampette da api per nutrire il loro misterioso mondo, è entrato in circolo nelle mie vene, e adesso vedo il mondo come un’ape di 80 chili, mi sembrano fiori anche quelli che fiori non sono, mi viene voglia di volarci in mezzo.
Il nostro amore è un affare grosso
Per oggi basta,
ci siamo amati troppo…ekkekazzo!
Non possiamo amarci così tutti i giorni,
mettiamoci delle pause autogestite,
facciamo i turni, diamoci un po’ di pace.
Abbiamo fatto l’amore tutti i giorni
per dieci anni di seguito,
tanto che ora sono confuso
ci sono parti di te in me che si sono assemblate da sé.
Se mi facessero un calco alla gipsoteca,
usciresti tu,
certo non per quegli stupidi calchisti,
che vedrebbero solo un uomo di gesso,
ma se scolpissero la crosta,
usciresti tu, con un sorriso così semplice
da passare inosservato
come l’aria che respiri quando sei felice
e ti fa scegliere il cornetto fresco, in un bar qualsiasi
con la tappezzeria dai bei ghirigori,
che sembra simpatica pure la vecchia che urla alla cassa,
dietro ai cioccolati al rum.
Quando siamo seduti noi in quei bar,
vendono anche più torte, il cesso funziona
perche tutto gira bene,
anche l’ape che ti scivola tra i capelli
e vola verso le montagne.
E’ un bell’affare per tutti amarci così,
lo senti come urlano,
da come sbattono le persiane
da come mandano tutto a puttane.
Se non ci amassimo così tanto,
i bibliotecari perderebbero la loro pazienza,
diventerebbero mostri.
Le mollette non avrebbero la forza
per stringere i nostri indumenti ,
tutte le mollette del mondo cadrebbero,
e si inquinerebbero i mari.
Il nostro amore è un affare grosso,
ha quotazioni in borsa
facciamogli credere che è finito,
per qualche giorno,
ma per finta, o le api
non saprebbero più dove andare.
Questo freddo porco
Sei come quei negozietti di frutta che in inverno hanno le fragole
i manghi, e cestini di asparagi e lamponi.
Butti sempre un po’ di primavera in questo freddo porco.
Sei il verde dei semafori, un fiore balsamico
assieme siamo patate dolci sotto un cielo di Monet.
E gli astri suggeriscono di abbracciarti
In questo freddo porco.
Sembra di poter sgonfiare i palazzi come canotti,
con te, riduco in cifre gestibili l’immane architettura della sorte.
Potremmo arrotolarci le lingue,
per risucchiare il sole dai grappoli d’uva
richiamare i suoi raggi dalle immense e sperdute estati,
che premono nei tuoi seni , voluttà ombrose
e sul tuo corpo un fieno di riparo.
Scorrerci le dita, sugli orizzonti dei nostri corpi
appoggiarci l’uno nell’altra
accasarci baciandoci,
estinguendo a forza di raffinate carezze,
questo freddo porco