Month: gennaio 2014

Quanto silenzio, prima di ogni cosa.

Quanto silenzio, prima di qualsiasi cosa.
Devi ammetterlo, c’è stato troppo silenzio.
Prima di giudicare il vuoto , il pieno e l’indicibile.
Silenzio di chi non ne ha voluto, è imprescindibile.
Dove sei stato spirito?
Cos’hai fatto di quei corpi senza più bellezza,
fanciullezza, vecchiaia , nemmeno sputi?
Non meritavano tutti un sedile reclinabile per sorridere?
Senza pensare nemmeno alle stelle, che tanto l’amore nell’aria
Come un fucile ,nell’aria, senza pensare nemmeno alle mani,
ai domani, come chi la gioventù ha tra le mani,
Chi ha gettato nel fuoco le mani?
Lividi e morsi sul corpo , piacere tra le mani prima erano ; leggere e scrivere,
mani piccole ma grandi come i cieli, davanti agli occhi ,le mani.
Chi ha soffocato, dimenticato spaiato, impagliato le mani
strette nei loro corpi, tra altri corpi, vicino ai loro piedi, anticorpi
Nati o deportati noi qui tutti tra il silenzio di milioni di mani.

Andrea Gruccia (copyright)

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LA BOCCATA D’ARIA

 

La solerzia concupisce. A me viene da tacere, davanti a piccole macchie di primavera autunnale.

Mi viene in mente di ruttare, pisciare, annegare, fare l’amore come si deve fare.

Sarà! Ma ho visto anche un uomo morire davvero, qualche giorno fa. E per tutte le domande che mi sono posto nessuna risposta è vera quanto una boccata d’aria. Mentre quell’uomo moriva la vita pullulava, sonnecchiava, era l’urlo dell’OMH.

No,nessun rumore, ma solitudine da accarezzare perché non ruggisca. Cammino sul selciato, verso il mio posto di lavoro, dopo una settimana di mutua e tranquillanti, anche un tizio che legge la “repubblica” dentro la sua auto mi sembra un piccolo miracolo. Grassoccio, perbenista, o forse ingegnere, ci guardiamo per dirci che non ci guarderemo mai più.

Io so riconoscere i volti e le voci che mi amano,. Ci sono e rido, perché la serietà degli uomini fallisce nei sogni, ed i sogni hanno le palle! Altro che realtà.

Pace fatta, pace voluta. Pace ricercata.

Accarezzo un albero, tra un mese sarà pieno di foglie e odori, in questi angoli di strade desolate e parcheggi per orgasmi viziosi, stronzi notturni sciacquati dalla pioggia, i poeti passano in macchina, programmano serate, alcuni vanno a Parigi.

O forse la poesia si appollaia qui di notte, tra i mille avatar di un cervello scoppiato in un tempo remoto e che ha spiaccicato le stelle nel fondale nero. Non hanno tempo da perdere certi buoni, certi geni sensibili.

Ma quest’arte fatta e supposta, ha trovato strumenti a lei consoni: per dire, per fare, una dozzinale noia filosofica, dicotomie, ci sono le gare, ci sono i premi, ci sono vere possibilità di carriera e ammirazione, qualcuno si inventa perfino delusioni estreme, o amoretti da” tu mi ami, io ti amo, no non ti amo più”.

Ma io ti amo e non so. Mi sembra una presa per il culo, non oso dunque non sono.

Un enorme piatto di spaghetti, un’abbuffata, e zak! Se non stai attento ti piantano una forchetta nella mano.

“Io ho creato più di cento neologismi, Io ho fatto la presentazione alla poetessa Pulan, io traduco, io deduco, io traggo, io lo faccio l’artista di professione, io ho fatto gavetta, romanziere, drammaturgo, ho fatto teatro! Io non mangio come gli altri, ma sono un intellettuale.”

C’è un vuoto cosmico, e comico, basta un piccolo fuoco d’artificio e tutti guardano il cielo, per un giorno o due. Dimenticandosi che le stelle sono mute.

Copyright : Andrea Gruccia.

 

Gambe

Vorrei posarmi sulle tue gambe, appoggiarci il viso
 in te ritroverei una biblioteca sperduta.

Forse mi innamorerei; due gambe così sono sempre una partenza.

Un ritorno, un tiepido schiudersi, composte come ruscelli.

 Sottovoce, vanno da sole, profumano di pioggia anche se non piove.

Come il vento, delle autostrade che sanno sempre di mare.
Due gambe da odorare, rare  come un fiore irriconoscibile.

Perché ho già amato, e mi è ancora sconosciuto.
Posso adorarti con lo stile che più ti è consono.
Mi vuoi dolce?
Mi vuoi porco?
Mi vuoi distratto?
Posso darti sollievo?  Ascoltarti?
Due gambe così sanno come dire,

sanno come iniziare e come finire.

Dammi la penitenza di poterti osservare.
Oppure invitami a qualsiasi sacra oscenità.

Due gambe così, sanno stare appollaiate su un’ albero.

Due felicità unite a metà,

che ti avvolgono la schiena  mentre tremi.

e passano i giorni, sugli schermi

vuoti e squallidi, per la polvere che non ti conosce.

E le ortiche che le arrosseranno,

o sotto un tavolo, con mani sconosciute.

Perchè mi hanno spinto nei tuoi occhi.

E ancora più lontano a spasso dentro noi.

 

Andrea Gruccia :copyrightImmagine