andreagruccia

LA NUDA ANARCHIA DELL’ANIMA di Andrea Gruccia


– Andrea è il figlio di un anziano pittore e di una giovane madre. Nelle colline in cui vivono, il giovane Andrea è costretto alla solitudine, i compagni lo emarginano credendo che suo padre sia il diavolo. Tra Andrea e sua cugina Rebecca, nasce una sintonia che li porterà a sperimentare le prime scoperte del corpo e del suo erotismo. In seguito il loro rapporto, diventa sempre più segreto e nascosto. Rebecca prova verso suo Nonno un amore viscerale, e alla morte gli promette che troverà la molecola in grado di guarire da qualsiasi malattia. Una ricerca che porterà avanti con gli studi…

Un profumo

Ho comprato un profumo per mia madre,
non le ho mai comprato profumi,
e decifrare in pochi minuti quello giusto
mi è sembrato semplice.
mi ha chiesto che età avesse mia madre,
ho risposto sottovoce togliendone quattro,
perché l’età alza un vento freddo,
toglie una coperta a un nome.
Ci sono profumi per anziani,
ne ho scartati due troppo acri e pungenti,
persistenti, ho tenuto il primo;
le ho chiesto che ci sentivo del borotalco,
ha detto che è un il profumo complesso,
ed effettivamente c’era il borotalco,
queste cose di ciprie e fiori,
che quando le donne lo spruzzano sul collo,
fanno quel viso serio e senza tempo
e seducono la vita a ogni età

Testo: andrea gruccia edito nella racconta poetica “voci bianche” Marco Saya edizioni

Foto di Andrea Gruccia.

Stampa fotografica su tela 2011

Dietro una siepe

In certi libri c’è l’autore
che ti spiega una cosa
e lo farà migliaia di volte
in teoria per l’infinito
una poesia poche righe
superano crisi, costumi
mode, guerre, generazioni
secoli, millenni
dribblano critiche
sopravvivono a tutto
se sono fortunate quelle parole
vedranno luce sopra a tecnologie nuove
stampate su maglie
sulla pelle, ripetute in silenzio
recitate, ricordate
tutto l’universo era dietro una siepe
quel giorno

Fotografia stampata su carta e applicata su tela

70 x 80 collezione privata

Copyright andrea gruccia

Il guardiano del farò

All’agenzia interinale mi avevano proposto quel lavoro, un contratto di un giorno prorogabile a un mese. Dalla foto era pure uno di quei fari vecchi, con la scala a chiocciola pericolante e il corrimano mangiato dalla ruggine. Dissi ok, che cazzo dovevo dire. Mi presentai alle otto in punto, il vecchio guardiano aveva la barba bianca bruciacchiata, pantaloni blu da officina, anch’essi pieni di buchi bruciati, ed io con la camicia modello tovaglia da picnic due taglie più grandi, che non si sa mai, comprata all’Oviesse. Non disse nulla, capii di seguirlo perché mi diede le spalle; passammo il ponticello levatoio, e poi entrammo in quella porticina di legno dipinta di azzurro, il faro all’interno era stretto, giusto la scala a chiocciola, ogni tanto un buco tra i mattoni bianchi da cui arrivavano correnti di aria fresca. Arrivati in cima, si allargava in un piccolo monolocale tappezzato di vecchi poster di donne nude e sinistri trofei da caccia, più che altro corna di antilopi o cosa erano, appese alle pareti. «Ragazzo, Il lavoro è questo, tu devi stare qui e non fare un cazzo, appena ti viene in mente qualcosa da fare, datti una martellata con quel martello appeso al muro. E’ di plastica tranquillo, a norma antinfortunistica, all’inizio era di ferro, ma a noi che c’è frega? Non l’ho mai usato». Poi prese un fucile, e si affacciò a una finestra con persiane di legno semiaperte sul mare di cemento, lo caricò prendendo un proiettile da un barattolo rovesciato sul tavolo di legno di pino massiccio, puntò qualcosa al cielo e sparò. Rimasi di pietra, l’eco dello sparo mi aveva fatto fischiare le orecchie, e lui dal rinculo cadde per terra. Lo aiutai ad alzarsi, era sporco ma profumava di mare e polvere. «Lo faccio per cercare di ammazzare il tempo, in cinquant’anni di lavoro non ci sono ancora riuscito, ma prima o poi passerà questo cazzo di tempo no?». Adattarsi di punto in bianco a una situazione nuova non è facile, ma il lavoro è lavoro. «Scusi signore del farò, ma sparare al tempo non è un fare qualcosa?». Lui sorrise, si accese un cerino, era un fottio di tempo che non vedevo i cerini, e poi prese un sigaro mozzato che aveva azzeccato tra i capelli grigi e un cappellino da marinaio, e nel cercare di accenderlo si bruciò un pezzo di barba. «E a noi chi cazzo ci frega? Compila il borderò, scrivici qualche cazzata, tipo: ho ucciso sul nascere la voglia di fare una strage, o di scopare una bella fregna, di iniziare una collezione di francobolli, e poi alla fine del mese lo porti a loro, ai capi, hanno bisogno di credere che ci sia qualcuno che non fa nulla sul nascere, qualcuno che sia più pigro di loro, così possono continuare a fare finta di lavorare, senza sentirsi in colpa, non è un brutto lavoro no?». «Mi hanno stipulato il contratto di un giorno». «Stronzi, e che impari in un giorno? Tranquillo te lo faccio prorogare, io non ci riesco più a fare tutto quello che non devo fare da solo, ho bisogno di un aiutante, mi manca un anno per andare in pensione, c’è molto da imparare, c’è tutto il resto che non si può fare da imparare». Tirò fuori un pc dal cassetto del tavolo, «ad esempio sognare cose che non si possono fare, e scrivere cose che non si possono fare, te la senti o è un lavoro troppo pesante?». Accettai, il primo giorno passò così, m’insegnò a sparare sul tempo che passa, a prendere bene di mira il nulla, e poi mi fece vedere il cesso, era un buco coperto da un asse, con un tubo che buttava verso il fossato.  Passate le otto ore, scendemmo, uscimmo dalla porta e passammo sul ponte levatoio, le due guardie dentro il gabbiotto, stavano cazzeggiando con il cellulare. «Antonio tutto apposto?». Antonio, sorrise, fece un ok con il dito, si tolse il cappello, si grattò i capelli grigi e stopposi, «promette bene il ragazzo, promette bene». Disse. E ritornai a casa.

Nello stesso odore

Come quei ciuffi d’erba sopra i ponti, 
radici sospese, sotto fiumi in secca o in piena.
Così a volte mi faccio pena, a volte esalto
E salto in aria per un sussulto.
Lontana è la città, quando ci sei nel mezzo,
lontani sono i corpi, quando s’infiammano 
in un sorriso, in uno sbadiglio
quando siamo sospesi io e te
nello stesso bagliore, stesso odore.

 

Copyright : Andrea Gruccia