La ragazza che fumava

La ragazza che fumava si chiamava Elisa, le usciva fumo, vapore dalla pelle. Mi piaceva osservarla mentre era seduta, i ghirigori di quel vapore lieve creavano figure come le nuvole, e aumentavano o diminuivano d’intensità, secondo certe emozioni. Se stavo seduto sulla sua destra, il fumo usciva più da quella parte, erano ricami di carezze, richiami di parole, la voce più sottile che un corpo potesse produrre. Il suono di uno strumento al suo apice, se fosse stato un violino, sarebbe stata uno Stradivari. Fumi così sottili, da penetrare anche la mia pelle, e attorcigliarmi il cuore e i polmoni di carezze al vapore. Anche l’odore cambiava, a volte di pioggia o carta di libri antichi, altre di rincorse immaginarie, tra il grano e foglie di bosco, altre solo d’incantesimi. Se stava nel mio centro, e il suo vapore entrava in me, era così intenso da uscirmi dalla bocca, da paralizzarmi le parole. Le incendiava sul nascere, trasformandole in disegni sempre più ampi, in campiture di musica, di profondi deserti, simile a pioggia dopo cento anni, mentre ci baciavamo, il fumo sopra i nostri corpi, corse di lupi sulla neve, pomodori essiccati al sole, e camini di città sconosciute, esplosione di luce, la sua calda schiena sotto le mie mani.

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