E ci baciammo sulla bocca in modo disordinato

 

Entrati nella sua stanza, guardai fuori dalle finestra, solo infinita pianura di neve desolata. Eravamo ancora vestiti, dovevamo ancora metterci comodi, prendere confidenza, mi disse di aiutarla ad accendere delle candele, io accendevo il fiammifero, glielo passavo e lei accendeva la candela. Accendemmo almeno cento candele di ogni forma e profumo. Poi lei si tolse le scarpe, e si tuffò sul letto supina.

-Io comunque mi chiamo Sergio!- Lei fece un cenno con la mano, come per dire, vieni, o non importa. Guardai l’immagine benedicente di una madonna. Le accarezzai una caviglia, una meraviglia che saliva al suo fondoschiena che scaldava. Pensai tra me e me, forse le piace così, con un po’ di irruenza, cioè ora le sfilo i pantaloni e… no… forse mi devo coricare accanto a lei e parlare o sonnecchiare, e tante carezze. Misi le ginocchia sul letto, alzai la sua maglia, posai la mia faccia sulla sua schiena, non bastava leccarla, non sarebbe mai bastato leccarla, solcare con la lingua l’avvallamento lombare, e intanto sentirne il profumo di saliva mista a femmina. Le fiamme delle candele alla vaniglia dovevano esserci entrare nelle ossa, e vaniglia usciva dalle sue natiche nel palparle. Si adagiò in modo che le sfilassi i pantaloni, qualcosa di ruvido e definito, la dolcezza della matematica che penetra la bellezza e ne esce in forma. Allora mi accostai per darle il primo bacio sulla guancia. E ci baciammo sulla bocca in modo disordinato, poi sempre più ordinato, a occhi chiusi, per delineare i confini e la misura di quel punto unico e irripetibile nello spazio, due bocche con lo stesso bisogno di creare un punto fermo che sarebbe stato riconoscibile in qualsiasi luogo dello spazio e del tempo, qualsiasi cosa avessimo fatto.

La delicatezza che usa l’universo nel concentrare il suo mistero in forme leggere, forse un suo modo di farci sviare al dolore di compensare il troppo vasto, l’intoccabile, con un tangibile intimo. E in quei momenti si è tutta intimità, come quando si entra nella casa della poesia. Sono queste minuscole cose che fanno impazzire gli uomini, e li mettono a nudo nella loro forza. L’unione del primitivo con i vertici dell’assoluto, milioni di anni di prove, la propria esistenza davanti a ciò che si considera bellezza. Ci sono uomini che sono quasi solo corpo, e sono fortunati. Le accarezzai la fica con le mani, ne sentii il sapore dalle mani, appoggiò una coscia sulla mia, anche i vestiti che le erano rimasti addosso erano pelle. Tutto questo per distrarre l’orgasmo, per quel piacere ancora più grande di sentire le sue caviglie e i suoi polsi, e la punta del suo naso, spingermi nel suo piacere.

 

klimt-recumbent-lovers

Disegno Klimt

 

9 comments

  1. La tua soffice delicatezza per esprimere questa scena d’amore mi fa commuovere. Mai ho letto toni più soavi per descrivere una simile unione. Complimenti 🙂

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