Lo strano caso di Claudio

Gli usciva una specie di nebbia rabbiosa, era come una barriera corallina in mezzo alla merda, un pesce pappagallo che mangiava coralli morti per cagare sabbia viva, era un genio di un piccolo male. Però mi era simpatico, per il suo modo di sbattersene delle mode. Claudio, faceva meno danni dei telegiornali, mi aveva confidato ad esempio, che rigava le macchine con una chiave a brugola che teneva nel portafogli, macchine in doppia fila, anche se partiva dal presupposto che per lui le macchine erano tutte in doppia fila, quindi rigava macchine a casaccio, soprattutto quando la nebbia gli usciva dai dotti lacrimali e diventava così intensa da cadere per terra come pezzi di manna. Se la mangiavano i cani quei cristalli di nebbia. Una volta lo vidi così preso male che dovetti liberarlo da se stesso, era seduto sulla panchina da non so quante ore, la sua nebbia gli si era condensata tutta addosso, gliela tolsi dalla faccia per farlo respirare, come se fosse un gesso morbido, mentre qualche persona schifata si allontanava. E da quelle persone uscivano i barracuda affamati, prendevano il loro pezzo di manna e ritornavano nelle loro pance. Dagli occhi blu oltremare di Claudio ogni tanto usciva il mare, era il suo modo di piangere, ne usciva tanto, spruzzava mare come una idrovora, tonnellate di acqua marina, un pianto generoso, diceva che tutti i mari sulla terra gli aveva creati lui, e io ci credevo, perché se andava al mercato resuscitava i pesci delle bancarelle, ritornavano dentro di lui, ed il tempo in quelle occasioni si apriva ad una realtà che a vederla mi metteva ansia, lupi che lottavano con meduse grandi come case. Una volta andai a casa sua. Le pareti di ogni stanza avevano i segni dei quadri sulla tappezzeria, dovevano essere stati appesi per almeno cinquant’anni, aveva avuto una sola proprietaria e ora era sua, in affitto, in attesa dei soldi che sarebbero serviti per comprare la vernice. Da questi quadri si affacciavano visioni, entravano passeri, e un ramo aveva cominciato a crescere dal muro, lo potava ogni tanto ma poi continua a crescere.
«Per Fontana, l’arte era dietro la tela, dietro!»
«Claudio, però non ti prendere male o ti riempi di manna, mannaggia!».
«A volte mi capita di passeggiare di notte, e passare davanti a biblioteche chiuse, è come passare davanti ad un cimitero, mettono paura quei libri nel buio, capisci? Senza luce. Solo che i libri poi li puoi riaprire e c’è tanta vita dentro, cosa che non si può fare con i cimiteri. Forse è per quello che molti si tatuano frasi sul corpo, per future pergamene. Ma intanto, questo vento fresco accarezza tutto, e siamo in questa bolla di tempo ancora abbastanza intatti. Le persone hanno paura di me perché spruzzo mare dagli occhi, e condenso la manna sulla pelle, e resuscito i pesci, hanno paura perché ho troppa vita dentro, ti rendi conto quanto è assurdo?» Lo guardai, non sapevo cosa rispondere.

Foto: Disegni di Andrea Gruccia.

 

 

 

 

 

11951825_10206633681818130_7605516463307897870_nRimbaud_harar_2

5 comments

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...