la Grande campana

La gigantesca campana alta dieci metri in mezzo al campo dei Notu è sempre stata un mistero, i vecchi dicevano che era lì dal diluvio universale, il tempo l’aveva corrosa ; vi era una crepa longitudinale, abbastanza grande per fare entrare i nostri corpi adolescenti. La sua superficie fatta di ossidazioni di rame e altri metalli, creava paesaggi turchesi e bruni, un colore di sentimenti contrastanti, come quello delle statue delle fontane, di festa e solitudine assieme. A giugno vista in mezzo al grano, era il colore e la fotografia delle vacanze, ma dava il meglio di se in autunno, quando si ergeva sui campi spogli, superstite dei grandi segreti, delle cose più grandi di noi. Alcuni anziani del luogo provavano una sorta di devozione, vi affidavano preghiere, pensavano che quella campana fosse caduta direttamente dal cielo, per me e i miei amici era una casa in cui nasconderci. Vi entravamo come topi lasciando le bici sull’erba, dovevamo trattenere il respiro per entrare in quella fessura, che schiacciava il nostro profilo ancora elastico, una fetta di luce entrava dalla crepa, il buio e poi i contorni, dei sacchi di plastica che avevamo sistemato sulla terra umida per sederci, una bottiglia di vino rosso mezza piena, un bastone ed un discreto mucchietto di pietre in caso fosse passata una volpe o un cinghiale. Di solito eravamo un trio, io Annibale e Ester che era la cugina di Annibale. Quel giorno Annibale aveva preso un intero pacchetto di sigarette e dei fiammiferi, ci sedemmo al centro della campana, lo avevamo già fatto, fumare una sigaretta passandocela e vedere chi riusciva a trattenere la boccata di fumo nei polmoni il più possibile. E poi il vino, e poi i baci di Ester, e le carezze, gli abbracci a petto nudo, la luce che ci spiava e illuminava i capezzoli, il movimento di una mano, gambe tra le gambe. Eravamo nudi al centro del mondo, attenti alle voci lontane, ogni tanto sbirciavamo dalla fessura, verso la strada, pronti a rivestirci e scappare. Sognavo spesso quella campana, una volta sognai che era fatta di cioccolata e tutto il paese la mangiò rompendola a grandi pezzi, un’altra la sognai ricoperta di lumache coloratissime. Ma ci fu una notte in cui tutto il paese si svegliò dallo spavento, un enorme boato ed un suono metallico che svegliò tutti. Un fulmine era caduto sulla campana, lasciandola intatta , ma aveva disegnato su di essa una specie di occhio. Quella estate non entrammo più in quella campana, l’anno successivo eravamo già troppo grandi per entrare nella fessura, in quella campana rimase un sogno proibito,quella bottiglia di vino, quelle pietre, le avrebbero trovate altri giovani esploratori, come avevano fatto i nostri padri, da chissà quante generazioni.

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