pagrorororororororororrorororororrosanta

Ma guarda quante cose devono fare le parole di una poesia,
vengono prese dalla terra delle parole,
magari non ne avevano nessuna voglia
erano li a prendere il sole nel loro eden,
nude, ad accoppiarsi per generare sinonimi o contrari
o addirittura neologismi o a non fare nulla.
Invece un poeta le prende e le mette nella sua poesia,
e gli tocca lavorare. Lì ci devono stare teoricamente per sempre,
farsi leggere, e fare amicizia con quel gruppo di parole vicine,
che a volte sono antipatiche. Ci sono poesie che hanno lotte interne,
parole invidiose,ma devono fare un gioco di squadra
soprattutto nei reading,
palleggiano, fino alla parole attaccanti che faranno emozionare,
che creeranno una bella chiusura, gli applausi, e si prenderanno tutti i meriti.
Di certo le parole più usate non sono più le parole originali,
ma le figlie, le pronipoti, ci sarà un allevamento intensivo di parole
spero che le allevino a terra , e non in gabbiette
pompate per farle crescere a dismisura per l’eccessiva richiesta
E poi ci saranno parole inconsuete che si sono innamorate,
e sperano di non essere stanate,
invece arriva un poeta che s’inventa Pagro,
ed il Dio delle parole la prende e la sbatte sul foglio.
Ecco ne ho rubata una,
Pagro figlia delle parole pigro e agro,
è fidanzata con Rosanta, figlia di Rosa e Anta,
in questa composizione quindi scrivo
Pagro e Rosanta vicine,
per voi non avrà un senso ma per loro si
le scriverò proprio attaccate:
Pagrorosanta,
così ogni volta che qualcuno leggerà
pagrorosanta, loro si baceranno con la lingua
pagrorororororororororrorororororrosanta
perdetevi pure nelle ro, fatele baciare
il più possibile.

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