Stasera la cresta di un iceberg si è incagliata nel mio appartamento, era da tempo che sospettavo che sotto questo mare di cemento si celasse un mare vero. Nell’impatto ha tremato il palazzo, tutti hanno continuato a fare le loro cose, è sabato sera, ma io sono qui che sto prendendo a forchettate questa grande massa di ghiaccio blu. La tettonica delle zolle, oppure la zolla delle tettoniche, un mistero, come le parole d’argento incastonate in questo blocco di ghiaccio antartico. Parole surgelate che non riesco a comprendere. Tipo “takapika”, che vuole dire? Sto mettendo le parole dentro ai vasetti della conserva, di takapika ne ho già due vasetti, al secondo posto c’è jarrika, e poi ci sono parole rotte, che metto tutte assieme. Ogni tanto l’iceberg avanza di un metro facendo dei rumori sinistri, anche il mio palazzo sta lentamente andando alla deriva verso l’occidente, si sta inglobando assieme agli altri palazzi e qui e là spuntano iceberg blu incastonati di parole, simili a onde oceaniche che si alzano a rallentatore. Quanto cazzo di ghiaccio c’è la sotto? Ho appena tirato fuori una parola di trenta chili, “Suru”, temo che ci saranno parole sempre più grandi, e non saprò più dove metterle. Stanno crollando i primi palazzi, rumori sordi in lontananza, mi sono affacciato alla finestra, una “O” grande come un palazzo di nove piani, sta procedendo verso il mio palazzo, spero di passarci in mezzo a picconate e con l’aiuto del mio piccolo phon. O presto diventerà la terra delle parole ghiacciate.
Quando il disordine è tanto… forse conviene buttare via tutte quelle parole!