Con due dita hai tirato gli angoli degli occhi come una cinesina,
mi hai fatto la linguaccia.
Quella sera dopo una birra, ci siamo chiusi nel bagno della birreria,
il brusio della gente, chissà a cosa pensava! Mentre inginocchiata, in una preghiera pagana,
e con i tuoi capelli ordinati da madonnina.
Mi legavi alla tua bocca, e dei rompicazzo bussavano alla porta.
Abbiamo camminato veloci verso casa,
ci siamo buttati sul divano e ci siamo spogliati.
T’ ho presa per i polsi,
e tu hai posato i tuoi calcagni freschi sulle mie natiche,
mi premevano rosei dentro di te, la finestra aperta,
e tu liscia, bollente, umida.
E d’improvviso hai sorriso, con i denti bianchi come la luna
Da femmina che odora ciò che indossa e ciò che mastica,
di quelle femmine che portano fortuna!
E quel giorno hai indossato me e hai mangiato me.
Poi ti sei concentrata, e i tuoi occhi sono ritornati grandi e acerbi.
Ti avrei chiesto di sorridere per un’ora intera, l’avrei amplificato,
ti avrei giurato di aver baciato
il vuoto più sublime del creato.
© Andrea Gruccia